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Economist: il mondo e' a corto di cibo?

Il mondo è a corto di cibo? Se l'è chiesto in un suo recente articolo l'Economist. Incrociando i dati sul tema la risposta sembra essere 'non per ora'; il che è tanto positivo quanto negativo.

Nel breve periodo non si profila - secondo la prestigiosa rivista - un esaurimento del cibo. Le scorte alimentari mondiali sono abbondanti, soprattutto se quest'anno il raccolto nell'emisfero settentrionale sarà oltre alla media. I prezzi alimentari risultano in calo, dopo un picco nel 2011 ed è in diminuzione pure il numero di chi soffre la fame, calato di 67 milioni negli ultimi 10 anni (ma questo è un dato che va interpretato, perché è dovuto al miglioramento delle condizioni in Cina e India, mentre restano ancora 800 milioni di affamati, di cui due su tre abitanti in Africa). Infine, l'ONU stima che la 'prevalenza della denutrizione' sia scesa dal 18,6% della popolazione mondiale registrata nel 1990-92 al 10,9% di questi anni, raggiungendo così uno degli obiettivi di sviluppo del Millennio.


Campi coltivati in Ghana, Africa. Nelle forme di agricoltura tradizionali le rese basse inficiano la produttività.

Accanto a questi dati positivi ce ne sono altri però più cupi, che disegnano a tinte fosche il futuro a lungo termine. Nel 2050 la popolazione mondiale supererà i 9 miliardi di persone e la quota maggiore di crescita sarà nei paesi in via di sviluppo, così il Dipartimento di Stato per l'Agricoltura degli Stati Uniti stima che nell'Africa sub-sahariana il numero di persone che non avranno accesso regolare al cibo aumenterà di un terzo. La FAO stima invece che per sfamare tutta l'umanità la produzione alimentare dovrà crescere del 70%; ma oggi le rese produttive a livello mondiale sono ferme, costanti da anni.

A questi elementi di criticità se ne aggiungono poi altri come:
  • le malattie vegetali che possono inficiare i raccolti;
  • l'urbanizzazione e la desertificazione, che divorano terreno agricolo, costringendo a produrre di più su minori superfici;
  • la salinizzazione dell'acqua;
  • l'erosione del suolo, che anche nei paesi sviluppati supera la velocità con cui si riescono a rinnovare i terreni.
L'Economist scrive che questo non significa che il disastro (alimentare) sia dietro l'angolo, anche perché ci sono diversi elementi su cui si può intervenire per migliorare. Partiamo dalla produttività (le rese), ancora molto bassa nelle forme più 'tradizionali' di agricoltura; questo può essere migliorato diffondendo tecniche più moderne, anche sul fronte del consumo d'acqua. Secondo un recente studio dell'Istituto britannico di Ingegneria Meccanica, ogni anno l'agricoltura spreca 550 miliardi di litri di acqua. L'eliminazione di questo spreco potrebbe portare a un aumento della produzione del 60% e più. Lo stesso vale per il fosforo che, a differenza dell'acqua, è una risorsa scarsa e in esaurimento: di cinque parti utilizzate in agricoltura solo una arriva effettivamente nel cibo. C'è poi il tema del cambiamento climatico.

Per risolvere le questioni appena descritte, la tecnologia e tecniche agricole migliori possono essere di grande aiuto, ma nel dibattito mondiale sull'alimentazione sono solo una parte della risposta perché - scrive l'Economist - il sistema mondiale di approvvigionamento alimentare manca della resistenza ad altre forme di 'scarsità', come ad esempio il panico tra i consumatori, generato da scandali e contaminazioni.

Un recente rapporto Lloyds, la compagnia assicurativa londinese, metteva in guardia sulla necessità di maggiore innovazione per aiutare agricoltori e produttori ad affrontare il cambiamento climatico e le altre sfide dell'agricoltura. Poche settimane fa, il vertice G7 riunitosi in Germania si è data l'obiettivo di togliere dalla condizione di fame 500 milioni di persone entro il 2030 e ora l'attenzione si sposta a New York, dove a settembre si riuniranno le Nazioni Unite per un vertice sullo sviluppo; qui si parlerà di come sradicare la fame al 100%. "Il primo grande obiettivo - chiosa l'Economist - è stato raggiunto. Il prossimo però sarà molto più difficile".

Rielaborazione FreshPlaza su fonte www.economist.com