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"Fuori suolo": una tecnica colturale ancora scarsamente diffusa in Italia"

Proporre una valida alternativa all'agricoltura tradizionalmente intesa, individuandone approcci e modalità di inclusione in ambienti prettamente urbani, ma anche non facilmente produttivi: sono solo alcune delle possibilità offerte dalla cosiddetta coltivazione senza suolo, di cui si è discusso negli scorsi giorni a Bari, presso l'Aula Magna dell'ex Facoltà di Agraria, nel seminario "Coltivazioni senza suolo, un'esperienza vincente" organizzato dal P.A.F. (Progetto Agraria e Forestale) e da As.Te.A.A. (Associazione Tecnici Alimentari e Agrari).

Un'occasione di conoscenza e approfondimento di una tecnica colturale che in Italia è scarsamente diffusa - all'incirca 700 sono gli ettari interessati dal "fuori suolo" - ma che costituisce un interessante punto di vista innovativo e altamente specializzato, soprattutto per chi ne ha fatto il punto di forza della propria azienda agricola.


(Foto: Benny Leoni)

Pietro Santamaria, ricercatore presso il dipartimento di Scienze Agro-Ambientali e Territoriali dell'Università di Bari, ha offerto una prima panoramica sui differenti contesti ambientali, sociali, geografici e pur culturali in cui una tecnica del genere si è già sviluppata, come nel caso della striscia di Gaza, con i microgardens proposti dalla FAO, a Chernobyl, dove terreni inquinati e tossici impediscono la tradizionale coltivazione, o nelle fabbriche verticali.

Ed è proprio da esperienze così diverse tra loro che si individuano i presupposti necessari per la messa a coltura di ortaggi e non solo: una pratica colturale che non utilizza il terreno, ma che è ugualmente in grado di fornire tutti i nutrienti per la crescita e lo sviluppo delle piante.


Pietro Santamaria durante il suo intervento. (Foto: Benny Leoni)

Definite altresì come colture idroponiche - quando però le colture sono realizzate in un mezzo liquido o su substrato inerte - le differenti pratiche di coltivazione senza suolo possono identificarsi come una valida occasione in termini economici, ecologici ed ergonomici: dalla razionalizzazione della risorsa idrica alla sostanziale riduzione dell'utilizzo dei fitofarmaci, con la possibilità di eliminare molti degli interventi sia sul terreno sia sui patogeni che rendono rischiosa la coltivazione delle piante.

Accanto ai vantaggi, sussistono però gli svantaggi: ingenti sono, infatti, i costi di investimento e di energia necessari per avviare tali pratiche di coltivazione, che determinano altresì una produzione di materiali di scarto non indifferente (plastica e soluzione nutritiva in eccesso). Fondamentale è anche la necessità di avere figure altamente specializzate nel settore, per evitare facili e pericolosi errori.



Una tecnica, quella del senza suolo, utilizzata da alcune aziende come il proprio marchio di fabbrica.

Successivamente, gli studenti delle lauree magistrali in Medicina delle piante e Gestione e sviluppo sostenibile dei sistemi rurali mediterranei, guidati dai docenti Angelo Signore e Pietro Santamaria, hanno effettuato una visita guidata nell'area di Monopoli (Bari).



Gli studenti hanno apprezzato la sanità, la produttività e la qualità delle produzioni in una lezione sul fuori suolo, "fuori dalle aule".

Per maggiori informazioni:
Pietro Santamaria
Email: pietro.santamaria@uniba.it
Data di pubblicazione: