I dati di cui l'imprenditore parla sono riportati nelle tabelle che seguono. Dal confronto emerge chiaramente che la Spagna ha esportato mediamente ogni anno, nel periodo 2009-2012, oltre 600mila tonnellate di frutta e ortaggi freschi per un controvalore di oltre 600 milioni di euro, a fronte di quantitativi e fatturati rispettivamente pari a 360mila ton e 270 milioni di euro per il nostro paese.
Quello che balza agli occhi, tuttavia, è il prezzo medio all'esportazione: 0,98 euro/kg per i prodotti spagnoli, contro 0,76 euro/kg per quelli italiani. Non è dunque per una maggior convenienza se la Spagna fa il doppio di quanto facciamo noi, all'estero.
Sopra e sotto: esportazioni ortofrutticole di Spagna e Italia a confronto, secondo i dati raccolti dall'Università di Bologna.
Secondo l'imprenditore veronese, le ragioni della perdita di competitività da parte dell'Italia sono difficili da individuare.
Se è vero infatti che l'Italia mostra un atteggiamento fin troppo "prudente" sul fronte dell'introduzione di innovazioni varietali, d'altro canto, rileva Odorizzi, non sempre le mode del momento sono quelle realmente premianti: "Nel settore delle drupacee, per esempio, le nettarine considerate di maggiore appeal da parte dei buyer rappresentano però le maggiori problematiche dal punto di vista della tenuta del prodotto sugli scaffali, in quanto troppo sensibili all'umidità e agli sbalzi di temperatura. Mentre le varietà più rustiche e tradizionali, che i nostri avi hanno impiegato decenni a selezionare, forniscono decisamente una shelf-life superiore".
Altro elemento di indubitabile forza del sistema ortofrutticolo italiano è il suo elevato tasso di salubrità: "Dalle ultime statistiche eseguite in Italia sono emersi residui di fitofarmaci nell'ordine di soli 30 campioni su quasi 6mila analizzati, con una percentuale di prodotto irregolare pari allo 0,5%. Il tutto - sottolinea Odorizzi - in un contesto nel quale invece le segnalazioni di irregolarità sugli ortofrutticoli importati e commercializzati in Europa aumentano (cfr FreshPlaza del 11/02/2015)."
Nulla da eccepire anche sul fronte delle certificazioni, visto che in Italia si adotta il rigore più stringente e si implementano sistemi di gestione sempre più affinati ed efficaci.
Dove sta, dunque, la marcia in più della Spagna? Leonardo Odorizzi individua il vero punto di forza dei nostri cugini iberici nel sistema politico del paese e nelle strategie che esso ha saputo mettere al servizio del settore produttivo primario: "Questa forza propulsiva e di lobby ben esercitata - osserva l'imprenditore - la subiamo poi sui mercati di vendita, nei quali il prodotto ortofrutticolo italiano non riesce a misurarsi con altri parametri che non siano quelli di prezzo".
Secondo Odorizzi: "Nel mio paese, da anni, si trovano solo pesche d'importazione sugli scaffali, mentre noi siamo costretti a esportarle sempre più lontano, con tutti i rischi che ne conseguono. Almeno per il mercato interno, perciò (che comunque rappresenta ancora l'80% del consumo), vorrei vedere un maggior intervento delle istituzioni, cominciando dalle realtà locali. Se ogni Sindaco o Assessore si spendesse a favore della penetrazione dei prodotti locali nelle catene distributive (cosa per la quale sono previsti anche incentivi economici promossi dalle Regioni), già la nostra attività di semplificherebbe. Si potrebbero stipulare contratti di fornitura a prezzi già chiusi in partenza. Ad esempio, per le pesche: 40 cent al produttore, 30 al confezionatore, 50 al rivenditore per un totale di € 1,2 in vendita sullo scaffale. Ci guadagnerebbe il contadino, che riuscirebbe a sopravvivere, e pure il consumatore potrebbe acquistare il prodotto".
"Servirebbe inoltre - prosegue Odorizzi - una semplificazione in materia di criteri di commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli. Penso alla selva di calibri e colori, di parametri astrusi cui il consumatore non è minimamente interessato, perché il suo unico desiderio è semmai quello di mangiare frutta sana e gustosa".
L'imprenditore veronese conclude con un appello all'organizzazione cui aderisce, ossia Fruitimprese: "Purtroppo la nostra categoria si vede raramente in Parlamento per chiedere audizioni o proposte di legge, essendo sempre impegnata a lavorare a testa bassa. Forse è arrivato il momento di dedicare maggiori energie a quest'attività di lobby, che potrebbe rappresentare la chiave di volta per uscire dalla crisi e rilanciare la nostra competitività".