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Di Rossella Gigli

L'analisi dei costi e' indispensabile per fare impresa ma non influenza la formazione dei prezzi

Ha scritto alla Redazione di FreshPlaza il Sig. Paolo Guarini, produttore e commerciante di ortaggi della Puglia, il quale dichiara di lottare da anni per la sopravvivenza del suo settore.

Il 29 dicembre 2010, fece pubblicare un articolo dal titolo: "L'ortofrutta pugliese dice basta agli imballaggi a carico proprio: dal primo gennaio 2011 si cambia musica": "Senza purtroppo ricavarne alcun risultato", dichiara, aggiungendo: "Se oggi ho deciso di rivolgermi di nuovo a voi è perché ritengo che il problema centrale del mercato sia un problema di analisi dei costi."

"La mia domanda è semplice - scrive Guarini - quale dovrebbe essere il valore minimo che si dovrebbe applicare ai prodotti dopo un'attenta analisi dei costi sostenuti? Mi pare infatti che troppi vendano merce sui mercati senza calcolare realmente tali costi."

E qui il nostro lettore elenca una serie di voci di spesa che le imprese dovrebbero attentamente valutare, come ad esempio:
  • costo operai per la raccolta del prodotto (salario, contributi, sicurezza sul lavoro, etc.)
  • costo imballaggi
  • costo trasporto dal campo al magazzino con mezzi propri (gestione automezzi)
  • costo per l'abbattimento termico e lavaggio
  • costo per etichettatura e stoccaggio della merce su pallet
  • costo pedane miste (quando ci sono più articoli per pallet)
  • costo refrigerazione
  • costo operai per il carico merce
  • costo trasporto dal magazzino a destinazione (tramite agenzia trasporti)
  • costo facchinaggio allo scarico
  • costo provvigione
  • costi variabili (interessi bancari, consulenze commerciali, mutui o affitti, adempimenti di legge, etc.).
Tutto ciò ovviamente si ripercuote sul valore del prodotto; perlomeno se intendiamo per valore quel che ci è costato produrlo. Paolo Guarini si chiede quindi in definitiva: "A quanto dovremmo vendere i nostri prodotti per non rimetterci denaro?"

La domanda del nostro lettore sembrerebbe a tutta prima lecita, senonché non prende in considerazione l'unica legge che domina il mercato, ossia il rapporto tra domanda e offerta: è tale rapporto che determina la formazione del prezzo, non certo i costi sostenuti dalle aziende.

Se oggi la domanda flette e riesce ad assorbire taluni prodotti - specialmente quelli per i quali l'offerta non difetta - solo a determinati prezzi (bassi), nessuna azienda al mondo riuscirà mai ad imporre alla domanda un prezzo superiore per i suoi beni, solo perché sono costati un determinato ammontare di denaro.

Per imporre un dato prezzo ad un dato mercato la condizione teorica ideale sarebbe quella di proporre qualcosa di raro (se non unico) per il quale esiste comunque una domanda disposta a non guardare il prezzo pur di aggiudicarsi quel dato prodotto. Se parliamo di ortaggi tradizionali, dubito che vi sia una sola azienda al mondo in grado di imporre il suo prezzo al mercato.

Pertanto, se è vero che fare impresa significa essere in grado di tracciare un business plan e di analizzare con attenzione i costi sostenuti, oggi troppe aziende lavorano sottocosto (per via del rapporto tra domanda e offerta), in ciò spianando la strada al loro inevitabile fallimento... a meno di non ricevere iniezioni di denaro pubblico. Infatti, parlando di aziende agricole, i costi che vanno calcolati sono anche quelli collettivi, di carattere sociale e ambientale, che deriverebbero dalla chiusura di tali attività; cosa per cui non è un caso se proprio il settore agricolo è stato sempre ampiamente finanziato dalle tasse di tutti gli altri cittadini.

In un contesto storico, tuttavia, in cui le risorse sono sempre più esigue e in cui si cerca di ottimizzare anche la spesa pubblica, fare impresa agricola sta diventando ciò che ogni altra impresa è già per definizione: un'attività di rischio. I costi dunque vanno analizzati e tenuti sott'occhio, studiando i modi per contenerli e limitarne l'impatto; ma non saranno mai il parametro sul quale formare i prezzi di vendita.