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A cura di Marta Mari, CRIOF- DipSA, Universita' di Bologna

"La termoterapia applicata alle pesche da' "risultati pessimi"?"

In merito a quanto riportato su FresPlaza il 27 ottobre 2014 relativamente all'intervento del Dott. Davide Vernocchi sui "pessimi risultati" ottenuti con la termoterapia nel contenimento del marciume bruno delle pesche in postraccolta (cfr. FreshPlaza del 27/10/2014), il CRIOF (Centro per la protezione e conservazione dei prodotti ortofrutticoli) dell'Università di Bologna, ribadisce la validità e l'efficacia, anche a livello operativo, di questa tecnica.

I risultati, che sono stati illustrati in un precedente numero di FreshPlaza (10/09/2013), rappresentano una sintesi delle ricerche condotte nell’ambito del progetto internazionale ISAFRUIT, a cui hanno partecipato numerosi centri di ricerca europei fra cui, per quanto concerne le pesche, l'IRTA di Lleida (Spagna).

In particolare, nell'arco di quattro anni, la termoterapia è stata saggiata su 10 cv di pesche gialle, 6 di nettarine, 2 di nettarine bianche e 1 percocca, provenienti da colture biologiche o tradizionali ed operando a livello semi-commerciale e commerciale, riscontrando in ogni caso una riduzione significativa del marciume bruno rispetto al testimone non trattato.

La definizione delle condizioni ottimali di trattamento (temperatura e tempo di immersione) ha richiesto lo svolgimento di numerose prove preliminari, in quanto si è reso necessario individuare una temperatura ed un tempo di immersione attivi nei confronti di Monilinia spp., ma che non risultassero dannosi per i frutti. I risultati delle ricerche sono stati pubblicati su riviste internazionali e verificati de visu in Italia, anche dai tecnici di APOFRUIT presso la centrale di Longiano, ove si è operato con un prototipo di immersore della XEDA International.

Come si evince dalla Figura 1, l'indice di efficacia, pur variabile in funzione della cultivar e della provenienza, risulta superiore all'82%. Analoghi risultati sono stati riscontrati dall'IRTA. La brevità del tempo di immersione (20-30 secondi), non ha effetti negativi sulla serbevolezza del prodotto, in quanto solo la buccia e pochi strati di tessuto (2 - 3mm), sono interessati dal riscaldamento.


Figura 1 - Incidenza di marciume bruno su pesche e nettarine trattate mediante termoterapia, risultati relativi a due anni di prova, 2007 (sin) 2008 (dx). Clicca qui per un ingrandimento.

Questa tecnica rappresenta al momento l'unico mezzo fisico non inquinante ed immediatamente disponibile in quanto non richiede alcuna procedura di registrazione ed ha una elevata attività curativa.

Chi ha avuto la pazienza di leggere questa nota, si chiederà perché a fronte di risultati più che soddisfacenti, la tecnica non si sia diffusa a livello operativo.

Tenteremo di fornire alcune possibili motivazioni:
  • Alcuni tentativi effettuati senza una sufficiente conoscenza della tecnica di trattamento (temperature troppo alte o tempi di immersione troppo lunghi) hanno portato a risultati negativi in quanto, anche se non si evidenziano ustioni visibili, si verificano danni alle micro screpolature presenti nella buccia, favorendo la penetrazione di patogeni.
  • La mancata verifica della temperatura dei frutti, prima del trattamento, può causare il superamento della soglia termica tollerata. L'innalzamento della temperatura subita dai frutti, è tanto maggiore quanto più elevato è il valore di partenza.
  • Come in tutti i trattamenti postraccolta, un intervallo breve fra raccolta e immersione è fondamentale per una buona efficacia, se il patogeno si insedia in profondità nei tessuti, non è più raggiungibile dal calore.
  • L'utilizzazione di immersori discontinui (Figura 2) non è proponibile a livello operativo, occorre disporre di macchine per il trattamento "in linea".
  • Il costo energetico per il riscaldamento dell'acqua rappresenta un onere non trascurabile. Come proposto nell'ambito del progetto ISAFRUIT, si potrebbe utilizzare il calore proveniente dalle macchine frigorifere, che viene dissipato nell’ambiente tramite i condensatori ad aria.

Figura 2 - Trattamento di pesche in acqua calda mediante immersore di pallet box (Impianto pilota XEDA France). Clicca qui per un ingrandimento.

Infine un aspetto interessante è rappresentato dalla capacità dell'acqua calda di rimuovere fino al 40% dei residui di captano, di trifloxistrobin e altri fitofarmaci.

Le possibili di applicazioni dell'acqua calda non si limitano alle drupacee. Ottimi risultati sono stati ottenuti su peperoni, meloni, agrumi e mele, soprattutto provenienti da colture biologiche. In Israele sono presenti 250 impianti utilizzati in prevalenza su meloni, peperoni e agrumi (il marciume bruno non è un problema stante il clima particolarmente arido).

Riteniamo pertanto che l'acqua calda, pur non rappresentando la panacea per la prevenzione dei marciumi postraccolta delle pesche, costituisca una opportunità, soprattutto per i prodotti biologici. Ma, come ogni nuova tecnologia, va applicata con professionalità e conoscenza delle sue potenzialità e dei suoi limiti tecnici.

Contatti:

Prof. Marta Mari
CRIOF, DipSA, Università di Bologna
Via Gandolfi, 19
40057 Cadriano, Bologna
Tel.: +39 051 766563
Fax: +39 051 765049
Data di pubblicazione: