Piccoli frutti: una valida alternativa per le produzioni in collina?
"La coltivazione del mirtillo, specie di quello gigante americano, si sta diffondendo in Italia allargandosi pure al Sud, grazie a nuove varietà che reggono bene anche il clima caldo", ha spiegato ieri Virginia Ughini, dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e membro della commissione del Mipaaf per i piccoli frutti.
Il tavolo dei relatori ieri. Da sinistra a destra: Albino Libè, della Provincia di Piacenza, Sandro Busca, sindaco di Bettola (PC) e Virginia Ughini, dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.
"Nonostante il calo dei consumi di frutta e verdura freschi a causa della crisi - ha continuato - quello dei piccoli frutti continua lentamente a crescere, perché in loro il consumatore riconosce un aspetto salutistico. Sono ricchi di antiossidanti e in alcuni casi si arriva anche a valori pari a quelli che si trovano in alcune medicine e integratori; molto però dipende dall'areale di produzione."
Due numeri sulla produzione di piccoli frutti in Italia. Secondo l'ultimo censimento Istat, nella penisola sono coltivati a bacche 720 ettari, per una produzione di circa 6.500 tonnellate. Da alcuni anni, la regione leader della produzione è il Trentino, seguito dal Piemonte. Terza la Lombardia (specie Sondrio e la Valtellina) che in una dozzina di anni è passata da poche piante a 50 ettari coltivati, tanto che ora la Valtellina è soprannominata "la Valle Blu". Chiudono la classifica, con quote marginali, Calabria e Sicilia.
In totale, il mercato italiano è rappresentato per il 40% dai lamponi, altrettanto per i mirtilli, mentre il resto è coperto dalle altre tipologie di piccoli frutti.
"La nostra domanda nazionale - ha continuato la Ughini - è soddisfatta per il 70% dall'importazione, questo rende la loro coltivazione appetibile." La dottoressa del Sacro Cuore è inoltre autrice di una survey tra i produttori di piccoli frutti nelle colline piacentine. "Usando in campo aperto tecniche abbastanza tradizionali si è raggiunta una produttività soddisfacente, ma si sono dovute sostenere grosse spese di manodopera e di trasporto - ha sintetizzato - Serve più assistenza tecnica per i coltivatori, perché ad esempio questi frutti vogliono terreni acidi, difficili da gestire in Appennino, e bisogna allungare il periodo di commercializzazione introducendo nuove varietà. C'è poi da prestare molta attenzione alla catena del freddo, perché questi frutti deperiscono in fretta una volta raccolti."
Il pubblico ieri a Bettola (PC) in occasione del workshop sui piccoli frutti.
Sempre nelle colline piacentine, attraverso la Misura 411, Azione 7 del Psr, diverse aziende si sono cimentate negli ultimi anni nella produzione e commercializzazione di piccoli frutti. "Per lo più - ha spiegato Ezio Giraudo - si tratta di aziende familiari in zone lontane dai centri urbani maggiori, su terreni agronomicamente difficili da gestire, che fanno vendita diretta e che registrano una buona richiesta di questi frutti, tanto da non riuscire a soddisfarla." Giraudo fa parte della Cooperativa Agrifrutta di Peveragno (Cuneo), la seconda cooperativa italiana del settore: all'interno della Misura ha fornito assistenza tecnica alle aziende piacentine coinvolte.
"Nel caso del lampone - ha evidenziato - a diverse quote tra i 300 e i 900 metri si è riusciti a dilazionare la produzione, coltivando su piani rialzati per via dei terreni. Il mirtillo è stata una nuova introduzione e il terreno molto calcareo ha costretto a coltivare in vaso: ora sono circa 300 le piante coltivate con risultati interessanti."
All'interno della Misura, lo stesso Giraudo ha realizzato un'analisi dei costi della coltivazione dei piccoli frutti. "Entrano in produzione molto velocemente - ha spiegato - e durano circa 8 anni di piena raccolta, un mirtillo ben insediato in campo arriva anche a 20. Per 1.000 mq coltivati le rese sono di 8-12 quintali per il lampone, 15-20 per la mora, 10-15 per il ribes e 12-15 per il mirtillo."
Ma, stando alla ricerca di Giraudo, sono i costi di manodopera a fare la differenza: per 1.000 mq coltivati servono 500 e 450 ore di manodopera rispettivamente per mirtillo e lampone, 320 per le more e 250 per i ribes. Questo si ripercuote sulla resa oraria che viaggia sui 3-4 kg raccolti in un'ora per i lamponi, 5-6 kg per le more, 5-7 kg per i ribes e 4 kg per i mirtilli. "Insomma - ha spiegato il tecnico di Agrifrutta - un chilo di lamponi costa 3,5 euro di manodopera, 2,5 un chilo di more, 1,5 di ribes e 2,8 di mirtilli. La manodopera pesa per il 70% dei costi totali. Infine c'è poi il tema della conservazione: si tratta di un prodotto che deve arrivare al mercato nel giro di poche ore. Hanno una shelf-life bassissima: 2 giorni i lamponi, 3-4 le more, si difendono i mirtilli che reggono 20 giorni."
Ecco quindi secondo Giraudo quali sono stati i pro di coltivare piccoli frutti nelle colline piacentine (ma lo stesso può valere anche altrove): terreni difficili ma vergini, liberi quindi dalle malattie dei piccoli frutti; una crescita della produzione lorda vendibile (PLV) anche con investimenti bassissimi; una buona domanda.
Fanno da contraltare i contro: "Una scarsa riconoscibilità del prodotto locale: i consumatori ancora non sanno riconoscere tra un piccolo frutto nostrano e uno importato. La frammentazione dell'offerta. La difficoltà nel reperire alcuni mezzi tecnici: può essere marginale, ma in alcuni casi ci ha dato diversi problemi". Non da ultimo una certa suscettibilità alla Drosophila suzukii, l'insetto parassita che ha dimostrato di apprezzare molto anche i piccoli frutti, al pari delle ciliegie: nell'appennino modenese ha creato danni all'inizio di luglio, in particolare su more e lamponi coltivati, ma pure sui mirtilli spontanei tra i 1.500 e i 1.800 metri di altitudine.
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