Sul pesco
Sono due gli obiettivi di questa prova sperimentale: "Prima di tutto – spiega Moreno Toselli, ricercatore del Dipartimento di Scienze Agrarie dell'Università di Bologna – intendiamo valutare la sostituzione della concimazione minerale con una organica, in questo caso riciclata, nel pesco. In secondo luogo vogliamo aumentare la sostanza organica dei suoli che oggi, da quando non c'è più l'apporto di azoto derivante dalle concimazioni con stallatico, viaggia sull'1,5% con conseguente riduzione della produttività dei terreni."
Moreno Toselli, ricercatore del Dipartimento di Scienze Agrarie dell'Università di Bologna.
Il test condotto a Ravenna è uno dei più estesi nel tempo. Partito nel 2001 questo è il suo 14esimo e ultimo anno. Le piante verranno estirpate anche "per misurare quanto nutriente hanno assorbito le piante. Vorremmo anche vedere come si sono sviluppate le radici, ma questo sarà difficile", spiega Toselli.
Nel campo sono riprodotte 6 situazioni di concimazione. La prima come test dove non è mai stata fatta alcuna concimazione, una seconda usando un concime minerale (l'urea) che apporta 130 unità di solo azoto. In una terza parcella è stato usato letame di scarsa qualità, ma stabilizzato. Nelle ultime tre invece è stato usato il compost in proporzioni e modalità diverse: in uno sono state usate 5 tonnellate/impianto ma dal quarto anno si è concimato solo una volta all'anno (in maggio); in un secondo il compost è stato usato in dose bassa (5 tonnellate/impianto, diviso in due momenti di concimazione a maggio e settembre). Nell'ultimo caso si è invece usato un dosaggio elevato di compost: 10 tonnellate/impianto in tutto, 6 a maggio e 4 a settembre. Il compost usato era misto, formato sia da umido di città che da sfalci e potature e proveniva dai compostatori della zona (Aimag di Carpi, nel modenese, Geovis di Bologna e Caviro); dopodiché veniva interrato, concentrandolo.
Il campo sperimentale a Ravenna.
"Le 10 tonnellate – riprende Toselli introducendo i primi risultati di tutti questi anni di ricerca – hanno apportato nel suolo 240 unità di azoto organico all'anno. Così si è arrivati a un 5% di sostanza organica nella terra. Inizialmente la nostra paura era che questo liberasse azoto nitrico in massa, ma così non è stato. La ragione è stata la matura stessa del compost, formato da 10 parti di carbonio e una di azoto. Il carbonio ha creato una biomassa microbica che poi si è cibata dell'azoto."
Il pubblico durante la visita al campo sperimentale dedicato al pesco.
Dal lato delle rese, invece, resterà deluso chi sperava in un boom della produzione. "Le piante concimate con l'urea – continua Toselli – hanno prodotto in media 440 chili ad albero, quelle concimate con il compost a dosaggio alto 450 chili. Il divario è minimo e solo in 3 dei 9 anni abbiamo visto una effettiva differenza statistica. Laddove abbiamo dato il dosaggio alto di compost abbiamo visto una fase vegetativa maggiore, ma anche qui i dati statistici non sono significativi, lo stesso se parliamo del gusto: alle volte avevamo pesche più zuccherine, altre volte si conservavano meglio, ma nessun dato che fosse scientificamente ripetibile."
La cosa positiva, conclude Toselli, "è che la carbon footprint migliorava in funzione di quanto più compost usavamo, mentre peggiorava nel caso del concime minerale. Tutto sta nel rapporto tra il carbonio e l'azoto all'interno del compost: più è alto questo rapporto e più cala la liscività dei nitrati".
Sul melograno
Leggermente diverso il test sul melograno, partito molto più di recente, a novembre 2012. "Anche in questo caso la finalità è duplice", spiega Gianni Sorrenti, anche lui ricercatore del Dipartimento di Scienze Agrarie dell'Università di Bologna. Da un lato c'è infatti un confronto varietale tra 56 cultivar già note all'estero (soprattutto California, ma anche Giappone) messe a dimora e di cui si vuole capire il comportamento nel clima romagnolo. Dall'altro c'è una prova di concimazione, come nel pesco; la differenza è che, oltre al compost, è stato testato anche il baiocer, cioè, come spiega Sorrenti, "un carbone residuo della pirolisi, ossia una decomposizione termochimica in assenza di ossigeno. Non si tratta dunque di un vero e proprio fertilizzante".
Gianni Sorrenti, ricercatore del Dipartimento di Scienze Agrarie dell'Università di Bologna.
Il suo uso viene dall'Amazzonia brasiliana di secoli fa, dove si è notato un aumento delle concentrazioni di carbonio laddove gli indigeni erano soliti bruciare tutti i loro scarti, sicché quei terreni risultavano più fertili di quelli limitrofi. In Brasile, il processo di arricchimento di carbonio del terreno ha richiesto secoli e oggi quello che si tenta di fare in agricoltura, in tutto il mondo, è di riprodurre lo stesso risultato, ma in minor tempo. "Usiamo il baiocer in agricoltura – riprende Sorrenti – perché ha un'alta concentrazione di carbonio, fino al 90% e interrato nel suolo non si degrada né a causa degli agenti atmosferici, né per via della biomassa microbica. Poi è molto poroso, agendo così da spugna e assorbendo acqua e nutrienti che poi rilascia alla bisogna. Infine, riduce la lisciviazione."
Il campo sperimentale del melograno dove sono state anche messe a confronto ben 56 varietà.
Il test di concimazione sui melograni nel campo ravennate viene condotto su 4 parcelle. Una concimata con urea, un'altra con 17 tonnellate per ettaro di compost, la terza usando 36 tonnellate per ettaro di baiocer e l'ultima con un mix al 50 e 50 di baiocer e compost.
"E' ancora presto per parlare di risultati – commenta Sorrenti – in questa stagione avremo i primissimi frutti e stiamo verificando la crescita vegetativa e la liscività. Allo stesso tempo, stiamo misurando anche le emissioni di anidride carbonica dal terreno e già notiamo che laddove abbiamo usato il biocer non c'è aumento, cosa che invece c'è dove abbiamo usato il concime minerale."
Un momento della visita al campo sperimentale del melograno.
Eppure qualche piccola indicazione la possiamo già dare. "Il biocer – conclude Sorrenti – funziona bene sui terreni sabbiosi, mentre il suo pH elevato, fino a 10, potrebbe creare dei problemi in altri terreni. In tutto il mondo c'è molto entusiasmo su questo prodotto, ma non esiste ancora nulla che dimostri che sia migliore. Finora posso solo dire che certo non fa male, il che è già una buona cosa. Ritengo che usarlo in terreni che già sono al top non porti benefici: non esalta le peculiarità di un terreno, ma funziona bene su quelli problematici. Oltre alla difficile reperibilità, il suo neo odierno è il costo, anche 13 euro al chilo... e ne vanno usate delle tonnellate! Forse il suo consumo crescerà quando costerà molto meno."
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