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Pere: il Ministero della Salute dice ancora no ai prodotti anti-riscaldo

Un altro motivo di profondo disagio per gli agricoltori italiani, già alle prese con la crisi della frutta estiva, è arrivato il 28 luglio dal Ministero della Salute.

L'autorizzazione all'utilizzo di prodotti tradizionali anti-riscaldo delle pere in post-raccolta - si legge nella comunicazione ufficiale della Direzione generale per l'igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione (Ufficio VII Prodotti fitosanitari) del MinSal - è stata rigettata in quanto, rispetto al parere del giugno 2012, non vi sono nuovi elementi tali da consentire la valutazione del rischio per il consumatore.

In pratica, viene applicata una regola che suona più o meno così: "Colpevoli, fino a prova contraria".


Riscaldo superficiale su pere (Foto Diproval - Unibo).

Delle due, l'una
E così si aprono due questioni prioritarie. Innanzitutto, come più volte ricordato dagli operatori dl settore, e ripreso poi da FreshPlaza, il mancato utilizzo in deroga al vietato uso - ottenuto da altri Paesi comunitari produttori di pere, come Spagna e Portogallo - mette i produttori italiani nella condizione di subire la concorrenza sleale di chi, come già nel 2013, potrà trattare e commercializzare, ma anche esportare, le pere in tutto il mondo per più tempo.

In secondo luogo, i cittadini italiani non saranno tutelati dall'offerta di frutti (trattati) provenienti da altri Paesi. La decisione, infatti, riguarda il divieto all'impiego dei prodotti anti-riscaldo, ma non limita o impedisce di importare, e vendere, le pere straniere che hanno ricevuto quello stesso trattamento. Né si sta pensando di informare il consumatore italiano rispettivamente al presunto "rischio" che corre acquistando pere provenienti dall'estero (mentre è proprio a causa di questo eventuale rischio che i produttori italiani non potranno più competere ad armi pari con gli altri frutticoltori europei!) .

Le domande
I dubbi sono tanti. Che succede se le nostre aziende decidono di conservare il prodotto oltre confine? Certo i costi aumenterebbero, ma ci sarebbero conseguenze legali una volta che la merce rientra in Italia?

E, ancora, chi veramente può essere considerato avvantaggiato da questa decisione del Ministero della Salute?

Quantifichiamo le perdite
Il primato dell'Italia di primo produttore di pere in Europa - sia in termini di quantità che di valore, con una PLV (Produzione lorda vendibile) stimata in circa 450 milioni di euro - è ovviamente a rischio.

Nella sola campagna 2013/14, il mancato utilizzo dei prodotti anti-riscaldo ha comportato la perdita di un quarto della produzione commercializzabile. Prendendo a riferimento le giacenze al 1° gennaio 2014, le quantità ritenute non idonee alla vendita sono state pari a circa 82.000 tonnellate, per un valore di quasi 63 milioni di euro. Ovviamente, questa cifra si riferisce esclusivamente al costo del prodotto e non tiene conto del mancato guadagno.

Forse oggi la manifestazione organizzata a Roma da Agrinsieme (clicca qui per maggiori info), il coordinamento fra l'Alleanza delle cooperative agroalimentari, Cia e Confagricoltura, sarà anche l'occasione per riproporre questo ennesimo problema che continua a penalizzare i frutticoltori italiani.